LIBERTA’ DEL FILOSOFARE.

Manifesto della videocattedra

1. Difendere la libertà del filosofare

 

Da ogni parte assistiamo a tentativi, manifesti o nascosti, di espropriazione e delegittimazione della libertà del pensiero. Difendere la libertà di pensiero è lo scopo principale di questo scritto.

 

Freccina.jpg

 

2. Le tre dittature

 

La situazione di schiavitù in cui versa il pensiero umano ai nostri giorni si manifesta in tre forme di dittatura: la dittatura dell’autorità del luogo comune diffuso dai media; la dittatura del pregiudizio illuministico; la dittatura del disimpegno.

La prima è la dittatura del luogo comune diffuso dai media, che produce opinioni mediate ma non meditate. Non si tratta qui di demonizzare il mondo dei media, proprio nel momento stesso in cui lo si utilizza, come è il caso di questa videocattedra Antonio Rosmini. Si tratta semplicemente di mettere in guardia da un reale pericolo: quello di un mercato che tende ad espropriare la proprietà privata del pensiero del singolo, in favore della costruzione di un egalitarismo di massa del pensiero, che alla fine niente altro è che uno stato totalitario, dove tutti pensano quello che ”si” deve pensare. Il pensiero dell’individuo è invaso oggi dal luogo comune globale!

La sfida di cui questo manifesto si fa portavoce è quella di una politica dei media che stimoli e inviti al pensiero, invece che tentare di espropriarlo dalla testa degli utenti (sostituendolo con un pensiero unico, apparentemente più semplice da gestire per finalità statistiche e di profitto). La sfida è, ancora, quella stessa dell’illuminismo, seppure adattata ai nostri giorni: liberarsi dall’autorità, a volte subita senza neanche accorgersene, del luogo comune, costruito e diffuso dai media. Il monito è: difendi il diritto di pensare con la tua testa!

 

La seconda dittatura è quella del pregiudizio illuministico, secondo cui le fedi, quella cattolica in testa, sarebbe un impedimento alla libertà di pensiero.

Qui si tratta di avere il coraggio di fare l’ultimo passo nella direzione di un vero, contemporaneo, maturo illuminismo, il coraggio di riconoscere che la fede, quella cattolica in testa, ha rappresentato storicamente il più delle volte uno stimolo per il pensiero che non un impedimento.

Al contrario, ritenere che la fede impedisca, di per sé, l’esercizio del pensiero, secondo l’alternativa se credi non pensi e se pensi non credi, è l’ultimo pregiudizio da cui un illuminismo maturo dovrebbe sapersi liberare, proprio al fine di raggiungere una definitiva libertà di pensiero.

Per gli autori di questo manifesto la fede cattolica, a differenza di tutti i fondamentalismi, è stata e può continuare a essere generatrice di pensiero. Per gli autori di questo manifesto, tuttavia, anche la fede cattolica deve costantemente vigilare dalla tentazione di sostituirsi alla ragione, di coartarla, dalla tentazione di credere senza pensare.

 

La terza dittatura è quella del pensiero disimpegnato. Si tratta di una sorta di diktat che circola fra gli accademici e gli intellettuali. Il pensiero puro, il filosofare serio, non deve impegnarsi in niente.

Anzitutto nei confronti della verità. L’essenziale sembra essere solo che si pensi nel rispetto delle regole della koiné accademica: linguaggio per iniziati, incomprensibile e suadente, molte citazioni, tante note a più di pagine etc. Tutto qui. Poi ognuno pensi quel che vuole, tanto – si ritiene – la verità è relativa. L’essenziale non è più che ci si sforzi di pensare qualcosa di vero!

Ma non è ancora tutto. Perché il disimpegno riguarda anche l’azione politica e sociale. Il diktat imperante è che il filosofo non si immischi nelle cose della politica e meno che mai nel sociale, pena la sua reputazione nella comunità scientifica degli addetti ai lavori. Oggigiorno un docente universitario che decidesse di far politica o di lavorare nel sociale nella migliore delle ipotesi verrebbe guardato con sufficienza dai suoi colleghi.

Gli autori di questo manifesto dicono basta alla filosofia come hobby della domenica, elitaria e disimpegnata. D’altra parte già Socrate, come scriveva Cicerone, “fece scendere la filosofia dal cielo, la trasferì nelle città, la introdusse anche nelle case, e la rivolse ad interessarsi della vita e dei costumi, del bene e del male” (Tusculanae Disputationes, V, 4, 10).

 

Freccina.jpg

 

3. Le tre libertà di pensiero

 

In relazione alle tre dittature appena descritte, questo manifesto vuole difendere la libertà del pensiero e del filosofare nelle sue tre forme, che chiamiamo “libertà da”, “libertà nel”, “libertà per”.

La prima è la libertà del pensiero da ogni forma di autorità, anche di quelle, ai nostri giorni le più diffuse, che non vengono percepite come tali. Si tratta di difendere il pensiero filosofico dall’asservimento ad ogni moda, ad ogni pensiero dominante.

 

La seconda è la libertà nella fede. Qui si tratta invece di difendere un'autentica libertà di pensiero all’interno della stessa fede. Gli autori di questo Manifesto ritengono che la fede cristiana cattolica sia di per sé generatrice di ragione, e che storicamente siano stati più numerosi e significativi gli esempi di fioritura di pensiero all’interno di questa fede degli esempi di oscurantismo. Tuttavia non va abbassata la guardia della difesa di un autentico pluralismo all’interno di questa stessa fede cattolica. Un pensiero cattolico irreggimentato e uniforme, che non favorisse il pensiero degli individui e il dibattito, non renderebbe un buon servizio alla fede cattolica.

Va inoltre difesa la libertà di pensiero all’interno delle religioni non cattoliche e non cristiane, dove, a volte, versa in situazioni di autentica schiavitù.

Va infine difeso il pensiero dalla schiavitù del laicismo, che assume a volte forme di fondamentalismo religioso sui generis, nella misura in cui non permette alcuna libertà d’espressione e di religione e non riconosce l’utilità pubblica della religione. Come abbiamo scritto sopra, mostra di non aver colto per nulla la novità della filosofia contemporanea, difendendo un pensiero utopico, senza luogo e senza fede, che finisce inevitabilmente per trasformare la laicità in una subdola forma di fede fondamentalista.

 

La terza libertà è la libertà per la verità e l’azione politica e sociale. Libertà positiva di pensare per scoprire il vero e per promuovere azioni politiche e sociali in difesa della libertà e della giustizia. Qui si tratta di difendere il pensiero dalla dittatura del relativismo e dal diktat antipolitico e antisociale. Chi riterrebbe oggi la filosofia un mezzo per raggiungere la verità, per migliorare la politica o per alleviare il disagio sociale? Se non sono molti, come crediamo, allora è venuto il momento di ingaggiare una battaglia contro le culture che ostacolano l’esercizio di tale forma di libertà di pensiero.

 

Freccina.jpg

 

4. Rosmini sulla libertà di pensiero

 

Quanto siamo andati fin qui dicendo è in parte, l’applicazione alla situazione attuale di idee di Antonio Rosmini Serbati, del quale questa videocattedra porta il nome.

A proposito di quella che abbiamo sopra chiamato “libertà da”, scriveva Rosmini: “Ché la Filosofia non si stabilisce sopra alcuna autorità, né pur divina, non che umana; poiché la Filosofia è ragionamento, e non altro che ragionamento” (Degli studi dell’Autore, in id., Introduzione alla filosofia, a c. di P. P. Ottonello, Ediz. Crit., vol. 2, Roma 1979, p. 49).: “la Filosofia […] di raziocinî si compone, e non di autorità” (Ibi, p. 52). Non c’è bisogno di altro commento. Quante volte capita ancora oggi di sentire discorsi, tanto di cattolici che di laici, basati su argomenti di autorità?

 

A proposito, poi, della forma “laica” e “moderna” di pensiero, che rifiuta ogni credenza, che rifiuta l’idea di una libertà di pensiero, pur “nella” fede, Rosmini ebbe a scrivere parole chiare.

“Tant’è lungi che la fede cristiana tolga la libertà alla ragione, e le impedisca di svolgersi, che anzi quella aggiunse agli uomini uno stimolo fortissimo all’onesto e legittimo uso di questa”. “Laonde le stesse verità che appartengono alla ragion naturale entrata la fede nel mondo, divennero più luminose” (Ibi, p. 38).

Rosmini denunciò inoltre quella credenza che cacciata esplicitamente dalla porta, per così dire, rientrava, implicitamente, subdola e incontrollata, dalla finestra, producendo di fatto una ragione vittima “di giudizi temerari, pregiudizi, prevenzioni, credenze, presunzioni, persuasioni, che talora si manifestano fortissime negli animi, senza sapere onde vengano, senza poter trovare alcuna buona ragione in cui siano fondate, senza che questa ci sia, o almeno senza che ci sia piena e dimostrativa” (Ibi, p. 20). Una razionalità che astrae dalla dimensione della fede si consegna per Rosmini, in altre parole, a credenze non più controllabili e perde, di conseguenza, la sua “libertà” di fronte ad esse.

Quasi come risposta alla domanda kantiana nella prefazione della Kritik der reinen Vernunft, Rosmini scriveva: “Ecco dunque la vera causa del lento e contrastato progresso della Filosofia: le prevenzioni e persuasioni erronee, ecco altresì la causa logica della perdita della sua vera libertà, e quella de’ suoi traviamenti” (Ibi, p. 22). L’analisi rosminiana del progetto moderno di trovare nella giustificazione razionale del conoscere e del sapere la “libertà” della filosofia conduce al risultato che esso non porta alla vera “liberazione” della ragione umana, in quanto si basa esso stesso su una “credenza” che realizzerebbe una “terribile potenza della propria libertà contro se stessa” (Ibi, p. 28). Così Rosmini anticipava la constatazione della fine del “discorso filosofico della modernità” (Habermas), rivelatasi nell’impossibilità del razionalismo di autogiustificarsi epistemologicamente (razionalismo critico) (Cfr. H. Albert, Per un razionalismo critico, tr. it. E. Picardi, Bologna 1974). Il “razionalismo” o “scientismo”, basati sulla “libertà del filosofare” negativa ossia astratta, in questo senso, si è rivelato esso stesso un “nemico” della “libertà del filosofare”.

 

A proposito, infine, della libertà per Rosmini ebbe a scrivere cose molto belle. Per il beato Rosmini la filosofia si rivela come un “impegno” (Ibi, p. 24) per la libertà, che raggiunge la sua giustificazione epistemologica nella “verità” e trova il suo fondamento in quanto “condizione di possibilità” (reale) nella “Verità”. Un impegno per la “verità” è quindi, contemporaneamente, un impegno per il fondamento. Solo questo “impegno”, secondo Rosmini, rende veramente “liberi” nel filosofare. Non bisogna dimenticare che il beato Rosmini pagò ad un prezzo molto alto nella sua vita la fedeltà alle idee sulla libertà del filosofare e sull’impegno per la verità.

Infine, un’altra idea di Rosmini che va nella direzione della “libertà per” è quella della carità intellettuale. Secondo tale intuizione, il pensare non è soltanto esercizio solipsistico, ma impegno sociale, educativo, o, con le sue stesse parole, una delle specie di “carità” nei confronti del prossimo che “comprende quegli uffici che tendono a giovare immediatamente al prossimo nella formazione del suo intelletto e nello sviluppo delle sue facoltà intellettuali: e questa si può chiamare carità intellettuale” (Costituzioni dell’Istituto della Carità, a c. di D. Sartori, Ediz. Crit., vol. 50, Roma 1996, p. 594).

 

Freccina.jpg

 

5. Una tradizione cattolica

 

Le tesi di Rosmini sopra accennate affondano le loro radici in una lunga tradizione di pensiero cattolica nella quale campeggia fra altri san Tommaso d’Aquino. Nel breve spazio di un Manifesto non è possibile soffermarsi analiticamente su questo aspetto del suo pensiero. Basteranno solo tre passaggi significativi della sua monumentale opera.

Il primo è il seguente: “Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est” (Ogni verità, da chiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo) (Sum. Theol., I-II, q. 109, a.1, ad 1; In Johan., c.8, lect. 1; In primam ad Cor., c.12, lect. 1; In II ad Tim. c. 3, lect. 3). Si tratta di un adagio, che Tommaso attribuiva a sant’Ambrogio (ma che in realtà è di un autore non identificato del IV secolo), citato spesso dall’Aquinate. In poche righe è sintetizzata anzitutto la libertà del filosofo rispetto a qualunque autorità che non sia la verità e, in ultimo, la Verità di Dio. In secondo luogo è lì espresso l’amore per un autentico pluralismo, un’apertura sincera ad ogni verità da chiunque provenga. E’ noto che questo fu il segreto della sintesi tomista, capace di dar voce, nella sua opera, oltre che ai padri cristiani, anche ad autori pagani, come Aristotele, ad autori ebrei come Mosè Maimonide, musulmani come Avicenna, Algazali, Averroè.

La seconda citazione significativa di Tommaso, nel contesto del nostro Manifesto, è la seguente: “Studium philosophiae non est ad hoc quod sciatur quid homines senserint, sed qualiter se habeat veritas rerum” (Lo studio della filosofia non ha lo scopo di sapere che cosa abbiano pensato gli uomini, ma quale sia la verità delle cose) (In de Caelo, 1, 22, nr. 8). E’ una delle frasi più famose di Tommaso e rende bene l’idea dell’impegno filosofico che rifugge da ogni filologismo, perché ha a cuore nient’altro che la verità. Si tratta di quella che abbiamo chiamato sopra “libertà per la verità”, antidoto alla dittatura del pensiero disimpegnato.

La terza citazione è, a sua volta, di nuovo una citazione di Bernardo di Chiaravalle da parte di Tommaso e rende perfettamente l’idea di un pensiero impegnato nella carità. Il testo, nella versione di Tommaso, recita: “Sunt qui scire volunt eo fine tantum ut sciant, et curiositas est; quidam ut sciantur, et vanitas est; quidam ut scientiam vendant, et turpis quaestus est; quidam ut aedificentur, et prudentia est; quidam ut aedificent, et caritas est” (Vi sono quelli che vogliono sapere solo al fine di sapere, e questa è curiosità; alcuni al fine di essere conosciuti, ed è vanità; altri per vendere la conoscenza, ed è turpe guadagno; altri per essere edificati, ed è prudenza; altri infine per edificare, ed è carità (In I Cor. VII, 1).

 

Freccina.jpg

 

6. Applicazioni di metodo

 

Da quanto precede discendono alcuni corollari che riguardano il metodo di un filosofare libero.

1. Non si possono stilare indici di libri, sia da parte cattolica che laica: nessun libro può essere escluso a priori dall’ambito di quelli che meritano di essere letti.

2. Si deve privilegiare il dibattito.

3. Si deve concedere spazio a tutte le correnti filosofiche nessuna esclusa. Gli autori di questo Manifesto danno credito, in particolare, non solo alla filosofia rosminiana ma anche alla filosofia aristotelico-tomista e alla filosofia analitica contemporanea.

4. Si deve concedere spazio, oltre che alla metafisica, anche alla filosofia applicata alla politica e al sociale. Se è il caso, si entrerà nel dibattito sulle grandi questioni politiche e sociali del nostro tempo.

 

Freccina.jpg

 

Markus Krienke

Giovanni Ventimiglia